lunedì 2 marzo 2009

Vuoti a rendere


Mario a settant'anni conosce l'amore sdentato, quello che poggia ogni sera il sorriso sul comodino.
In tempi non sospetti, quando si stava scarsi pure a difetti, aveva amato una signora sposata con la foga che si riserva a una fidanzata. La incontrava in alberghi dozzinali, dove consumava rapporti carnali e quaderni a quadretti, che riempiva di frasi sulla di lei bellezza:
"Luisa sei un angelo, per classe e riservatezza."
Lei sorrideva e sapeva di essere più vicina a un'eterna dannazione che a un posto da musa. Ma non le importava, quel poeta era un amante focoso, che sapeva tessere le lodi di un cuscinetto adiposo.
Venere botticelliana era la definizione preferita, ma soltanto dopo che lui le ebbe spiegato l'aggettivo, che non aveva niente a che spartire con il motto della moglie ubriaca. Botticelli era un pittore, come Giotto, quello dei pastelli a cera. E sembra che pure Canova, ai tempi suoi, non fosse il proprietario di un bar di classe al centro di Roma, ma uno scultore ambito a corte, in grado di rendere perfetto un fianco forte.
Mario aveva un modo strano di fare l'amore. Cominciava forte e finiva piano, come un'eruzione senza lapilli. Adesso morde il lenzuolo con le gengive e sa di avere dentro abbastanza storie per addormentare centomila figli.
Per questo i vecchi dormono poco. È tutta colpa delle avventure che esplodono dentro, ricordi romanzati, romanzi ricordati, feuilleton da Dumas padre da ordire per i nipoti.
Alla fine, prima di partire, siete pregati di rendere i vuoti.