giovedì 29 aprile 2010

Canto di uno scrittore fuori sede



Il posacenere è pesante per definizione. Lo è mia madre, per scelta di vita. Pesante è l’armatura del Dottor Destino, con le borchie da metallaro e le cuffie dell’Ipod incluse nel prezzo, rottamazione a carico dello stato di Latveria. È pesante e tagliente il respiro durante l’amore, soprattutto quando entra nei polmoni, pezzi di lametta odorosi di Aqua Velva. Pesano i macigni, le aspettative, le donne incinte, le donne sconfitte dalle buste della spesa.
Leggero è il cuore dei ragazzi che escono la sera. Pesa poco la piuma, niente lo sguardo che cerca di vaticinare le traiettorie del leggerissimo Super Tele. Leggera è la schiena dei saltatori, perché Fosbury rese loro un servizio notevole. Leggero è lo stracchino di nonno nanni, ma soltanto per gli occhi, perché poi diventa calce viva se non stai attento al pane che ci mangi mentre bevi per dimenticare. Pesante è il ricordo di quella sera, che avevo lavato la macchina e pure le ascelle, ma lei era un gradino sopra alla mia capacità di persuasione.
Leggero è quel film con quell’attore. Pesante la sconfitta, leggero il dolore di un distacco cercato. Certi tramonti sono fatti della stessa sostanza dei cuori: sanguinanti e rumorosi.
Questo pensa Nicola, detto Nick, mentre incombe con foga da atleta tra le gambe di una ragazza conosciuta minuti addietro. Lui è leggero soltanto se non lo conosci, se lo guardi e ti innamori di un’ostinazione tutta calabrese, di una cameretta da fuori sede e di una macchina finta sportiva.
Nick vuole fare lo scrittore importante.
È un mestiere pieno di scuse, una strada lunga e tortuosa, come cantavano i Beatles in tempi non sospetti. Ma i tempi sono tutti sospetti, perché non ci aspettano mai. Hanno il sorriso di Valentino Rossi contro Gibernau. Talento contro applicazione.
Nick si applica e lei viene.
Parole parole parole al posto del sangue nelle vene.