martedì 7 giugno 2011

La buona novella




Il Signore dà, il Signore toglie.
Il prete lo dice e ci crede, perché è allenato alla menzogna consolatrice: te la danno in un kit, insieme all’abito talare.
La malattia è un premio, una prova che il Signore offre ai suoi figli prediletti. Ecco, questa non so se la reggo. Trent’anni di sclerosi multipla, figlia prediletta stocazzo. Mia madre lo guarda come si guardano i fiori finti, che sono belli ma non ballano, proprio come lei. Sorride, perfino. Io tendo a far capire al parroco che la benedizione pasquale è andata a buon fine, come una transazione bancaria. Lo accompagno alla porta e lui si volta per dirmi un’ultima cosa. Ha l’aria complice, stavolta. Lo immagino senza quel vestito nero, seduto su una tovaglia da pic-nic, con la bocca sporca di maionese. Sono pronto alla confidenza.
- Sua madre è una donna molto forte.
Annuisco.
- Ha mai pensato di portarla a messa?
Annuisco ancora come i cagnolini da cruscotto.
- La porti. Si sta bene, è pieno di brava gente.
Mi porge la mano.
Ora. Io sono per la stretta asciutta, rapida e forte. Da uomo. E infatti sono l’uomo di casa, cazzo. Quello che difende l’uscio e porta i soldi a casa. Quello che caccia con la clava e che monta i mobili dell’Ikea. Quella mano è un pesce marcito. Ma la prendo con deferenza, quasi fosse un manufatto alieno capace di svelare il segreto della vita.
- Padre, posso farle una domanda?
- Certo.
- Fabrizio De Andrè. L’infanzia di Maria. L’ha mai ascoltata?
Strizza gli occhi, come Clint Eastwood quando prende la mira.
- No. Credo di non averne mai avuto l’occasione.
- Ecco. La ascolti. Si faccia un regalo.
- Lo farò.
- No. Non lo farà.
E mia madre a messa non ce la porto.
Un’occasione di salvezza ciascuno, sprecate per la paura di fare un passo di lato.
Ah, per la cronaca: mia madre, di passi, non ne poteva fare. Il prete sì.