martedì 9 ottobre 2012

Il ragazzo nerd e la ragazza di burro

Il ragazzo nerd la vede camminare e la definisce collezionabile. La immagina, blisteratissima, dentro una scatola modello action-figure. Lui saprebbe prendersi cura di lei, la esporrebbe nella sua sala giochi tra la Morte Nera e Hulk che Spacca, pelle morbidissima e occhi che piangono lacrime vere. Lei cammina come se non ci fosse un domani, Dorando Petri senza maratona, pronta a crollare per uno sguardo dispari o a intessere e disfare flirt come Penelope con la sua tela, in memoria di un Ulisse che non c’è mai stato. Quando vede il ragazzo nerd che sorride, lei pensa che sia stato bocciato all’esame di igiene orale, ma che – nell’insieme – ne venga fuori un tipo niente male. Occhiali spessi come fette di salame tagliate dai maschi, spalle a casetta e quella maglietta di ordinanza: la scritta Space Invaders che fascia un principio di panza. Lui le offre una coca e una dissertazione sui demeriti di Peter Jackson nella trilogia de Il Signore degli Anelli. Lei, invece, mette in scena una scollatura generosa e un culetto di burro. O tutto il contrario, che è la stessa cosa: burrosi i seni e generoso il di dietro. Comunque vada, il ragazzo la guarda e immagina dove mettere le mani senza rovinare la confezione. Lei è laureata in Filosofia della Scienza, ma è una maestra nel dissimulare e nel dare agli altri un’impressione di studiata ignoranza. Ha il fisico da pin-up e la testa sulle spalle e questo è più di quanto un uomo medio possa sopportare. È come voler essere una piscina, quando potresti essere il mare. Quando rimangono soli, lui si spoglia con difficoltà da verginella, lei come chi lo fa da sempre per un pubblico abituale. Ma poi il resto è alternanza di turgori e scioglimenti, un rituale antico che nessuno sa fare meglio di qualcun altro. Il nerd si applica, lei muove la testa come un batterista jazz e questo basta a fare di loro una coppia perfetta. Il mondo li lascia fare, per ora. L’infelicità è latente. E non ha fretta…

giovedì 23 febbraio 2012

La scienza arranca

i ricercatori italiani espatriati hanno scoperto qual è il mistero dell'universo: il colore dei capelli delle donne. crini, non neutrini...

mercoledì 8 febbraio 2012

Il treno va...

Svegliarsi senza aver praticamente dormito. Riemergere come un sub incauto, senza compensare, incurante dell’embolo. E l’embolo, puntuale, arriva. Apro gli occhi, lo sferragliare del treno non mi culla, mi irrita, diventa distanza invece che viaggio. E mi irrita quella voce. Sta parlando con me, non c’è dubbio. Metto a fuoco. Nello scompartimento siamo solo noi due. Io, un rimastino di 38 anni, sperimentatore di droghe fin troppo conosciute. Lui, un doppiopetto impeccabile, con meno segni di me sulla faccia ma molta borghesia spalmata addosso, come una crema solare protezione 50. - Lei stava russando. Mi stropiccio gli occhi, spero sia tutto un incubo. Dopo un qualunque risveglio, anche se ho dormito soltanto cinque minuti, non posso reggere un rimprovero, né tollerare un dialogo. - Mi capita, ogni tanto. Sì… - Rispondo. Il cellulare del pupazzo in grigio mette un punto esclamativo laddove sarebbero bastati tre puntini di sospensione, di resa. - Sì. Arrivo alle 12,59. Tutto bene, il viaggio. A parte la compagnia. Poi ti racconto. Ciao. Cose che non si dicono, queste. Non sorride, non ammicca. Semplicemente, è infastidito da me e ci tiene a farmelo sapere in ogni modo possibile. Lascia perdere, mi dico. Ma mi conosco. - Io non sono la tua compagnia. Sono solo uno cui hanno assegnato questo posto. Uno che ogni tanto russa. - Lei ha anche un cattivo odore corporale. Dovrebbe migliorare la sua igiene. È importante. E apre il Sole 24 ore, convinto che l’arbitro abbia fischiato la fine e che lui abbia portato a casa i tre punti. Stocazzo. - Tu puzzi di morto. Forse è il vestito. È importante, pensaci. Abbassa il giornale e ha uno sguardo che ho visto sulla faccia di un mio amico, in comunità. Pericoloso, perché si erge ormai oltre la morale, oltre quel confine che divide il lecito dall’antisociale. - Lei è un avanzo umano, appare evidente. Sospetto che non abbia un lavoro, che sprema la pensione dei suoi genitori e che non abbia una relazione stabile, né tantomeno degli amici. C’è del vero, ma non sopporto i maghi. - Tu invece hai una donna, ma non sai scopartela come si deve. Ti ha chiamato per sapere quanto tempo ha per metterti in testa un altro paio di corna. Sorrido. E sbaglio. Ci vogliono più di trenta muscoli, per attrezzare un ghigno. E per tenere attivi trenta muscoli, devi pompare sangue e distrarre nervi, è così che funziona. Vedo il manichino sollevarsi di scatto, vedo le sue ore di palestra incanalarsi in un pugno, accompagnato da tutta la spalla. Il naso mi esplode, fa il rumore di una noce che si arrende alla stretta di una mano contadina. Dolore, paura e ancora dolore. Il sangue mi bagna la faccia ed entra nella bocca. Mi chino in avanti, perché conosco una mossa speciale. Dalla resa apparente, fiorisce una testata devastante. E adesso è il suo naso a spruzzare sangue sul vestito immacolato. Sono in piedi e gli tiro un calcio sotto lo sterno, che, dato con gli anfibi, non è affatto una mossa banale. Si piega in avanti e io gli parlo all’orecchio con la voce del caprone maschio, quello che ha le corna più grandi ma non per via dell’infedeltà della sua femmina: - Dimenticami. Ricorda solo il dolore che ti ho inflitto. E non metterti in una guerra che non puoi vincere. Mi sento un personaggio di Dumas padre, virato dalla cultura di Stallone. Lui è devastato come un pollaio dopo il passaggio di una volpe. Non farà uova per un bel pezzo, mi sa. Prendo il Sole 24 ore e leggo: Scende lo spread, c’è fiducia nei mercati. Scendo pure io, guerriero di una notte infinita.

mercoledì 25 gennaio 2012

Il re del terrore

Swiss è il rumore. Paralizzante, secco, metallico. Preludio al buio, manto di un gelido inverno definitivo, lama che prolunga il battito del cuore. Prima, qualcosa che arma il rancore, che innesca l’odio, che giustifica il lancio. Io sono Achab, la morte è il mio veliero, il mondo è una balena con un diamante incastonato sullo sfiatatoio. Eva è la mia benedizione, la mia unica paura. Ma è grazie al terrore sano che nasce il coraggio, perché senza la notte non capiremmo il giorno. Sono fortunato, perché ho una nemesi, un carro magico, una città-presepe, una predisposizione a credere, una possibilità di fuga, una magia buona che mi proietta oltre la morale comune. Sono un superuomo senza filosofia, elastico teso tra il possibile e l’assurdo. Ma dentro, in silenzio, sento crescere un magone grande. Troppe maschere, sulla mia vera faccia. Troppo corrucciato, il mio sguardo. Vorrei ridere senza freno, per una volta. Vorrei viaggiare senza fuggire. Ma ogni uomo ha il suo destino, un ponte tibetano che traballa sotto i piedi, che dobbiamo comunque attraversare. Sotto, dappertutto, urla e biancheggia il mare. Swiss è il rumore. Poi, più niente…

lunedì 16 gennaio 2012

Qui le domande le faccio io...

Ci sono grandi tristezze fatte con lo stesso impasto delle piccole gioie. È il Melodramma, ragazzi. Musical inglesi sold out da sempre, moulin rouge con modelle ucraine fotocopiate bene, il giro della Foresta Nera con soggiorno alla Spa “Da Ingrid e Carlo”. Insomma: tutto quello che vorremo vedere se fossimo viaggiatori veri, è costruito nella galleria del vento, è artificiale, è un fuoco fatuo, brodino da ospedale, bicicletta con le rotelle. Da piccolo ho imparato che imparare fa di me un bravo bambino, purché il processo avvenga in sordina, senza domandare alla maestra, anche lei aggrappata alle graduatorie e poco interessata alle mie requisitorie. Poi ho chiesto alla strada e ho avuto risposte che bruciavano in gola, graffiavano le ginocchia ed evaporavano la coca-cola. Le donne non rispondono, chiedono soltanto, strumenti solisti bisognosi di un pubblico pagante. E non capiscono il jazz. Gli uomini si dividono in due categorie: chi sa fischiare e chi soffia fuori solo aria viziata. i primi sono melodisti, i secondi trascrittori. Chi vive e chi guarda, questione di talento, di predisposizione e di opportunità. Se io muoio domani, ho fatto pari. Non vinco il titolo, ma di me si parlerà bene, come di un fighter destinato al macello, Vito Antuofermo contro Marvin Hagler. Iperviolenza non priva di poesia, quando prendi più pugni di quanti sai darne, quando fotografi un tramonto invece di usarlo come altalena per un bacio memorabile. La musica che scegli fa di te un dj geniale, o un compilatore di cassette per farla innamorare. Lei leggerà i titoli, sentirà il primo pezzo, poi tornerà al suo lavoro, a quello che sa fare: domandare, domandare, domandare.

martedì 10 gennaio 2012

Pedro Escobar, Vittima del Cubismo

So così poco dell’amore! E, francamente, quel poco che so non include baciare una tipa con gli occhi sparpagliati a caso sulla faccia. Del resto, quando uno si chiama Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santisima Trinidàd Ruiz y Annibali Picasso, dovrà pure trovare un sincretismo, una sintesi geniale, e sporcare tele con segni perversi. Oggi devo vederlo alle cinque della sera per una sessione notturna. Io sono il suo modello preferito: un ragazzo ben fatto, che conosce ballerine e puttane. Domani gli presento Olga, gli piacerà. Lui è pazzo, questo appare evidente. Mi ha regalato un quadro e l'ho scambiato per una cassa di Porto scadente, perché ho il senso degli affari. Picasso sta alla pittura come la caccia di frodo sta al safari. E' qui per distruggere, non per regalare immagini rassicuranti. E il vostro povero cronista Pedro Escobar, detto Pedrito, non ha gli strumenti per rimettere insieme i pezzi. Lo farà qualcun altro, almeno credo. Una cosa la so per certa: lui non vede quello che io vedo...