martedì 17 giugno 2008

Il Paz, secondo me




Hai la matita d’oro!
Lascia stare il papa!
Il presidente non si tocca!
Via quelle siringhe!
Tappati la bocca!
Parlaci del tuo lavoro!

E poi c’ero io, ventiduenne in equilibrio su una lastra di ghiaccio, a guardare l’elogio funebre di un genio che non conoscevo bene, splendente e insoddisfatto, raccontato tutto in una notte su Teleroma 56. L’avevo incontrato in Comic Art, Andrea Pazienza. Mi aveva stretto la mano, avevamo parlato di soldi e di donne che spendono soldi. Ne sapevo poco, come di tutto il resto, perché avevo vissuto la strada ma non l’avevo capita. Pur di non rimanere zitto, buttai lì una cazzata, che lo fece ridere un po’.
Poi mi accodai alle menti migliori della mia generazione: riesumai il grande autore, lo spolverai per bene e lo misi in libreria, a prendere polvere nuova.
Vent’anni dopo i nemici ci sono ancora, ma non è rimasto in giro nessuno abbastanza bravo per mettere i sottotitoli giusti ai monologhi delle maschere di cera.
Pazienza faceva i dispetti anche da grande, perché era come l’incredibile Hulk: se lo sgridavi, diventava più bravo.
Adesso disegna ancora, senza colori e senza fogli.
Niente paradiso, nessun inferno.
Cercalo in quel ghirigoro di luce, quando apri la tenda la domenica mattina. E' un disegno superiore, di cui sei in balia, che ti strappa un sorriso e ti fa a pezzi il cuore.
Parla anche da dietro il velo, il grande autore.