venerdì 25 gennaio 2008
orevuar
Stralunato marziano, seduttore di vecchie zie, lingua tra i denti a scivolar parole, capelli che non gli han dato un rigore e che protestano forte. Sette film in sei anni, spremiamolo a dovere, magari non dura. E lui, per coerenza, è durato poco, fino a 23 anni, quando la morte è vera solo se vai in guerra o se al tuo amico gli scivola la mano sul gas della moto. Un tizio che aveva solo due anni più di me se n’è andato quasi vent’anni fa. Un tizio che la vita l’aveva presa a verso, col talento di chi non ha talento e lo sa. E dio o chi per lui ha spento la luce, abbassato la voce, esposto la salma, calato il sipario, mandovai se la banana non ce l’hai. Niente banana, niente pranzo, niente invito al prossimo Maurizio Costanzo show. Ciao, Nik Novecento. Buon divertimento.
domenica 20 gennaio 2008
Sosta del campionato
Una volta ero parecchio più bravo.
Palleggiavo con un'arancia, flirtavo con donne sposate, mettevo su pancia e giù risate.
Ero capace di non dormire per tre giorni. Sapevo partire per posti vicini e lontani con la stessa curiosità negli occhi, peraltro protetti dai Ray-ban, con quelle lenti verdi che mi davano una distonia da pesce in acquario.
Venivo bene in foto. Sorriso e zigomi si mettevano d'accordo e attrezzavano un me stesso niente male: un po' Alain Delon e un po' Walther Matthau, rapinatore incallito, baro impunito, seduttore impenitente, belloccio deficiente.
Una volta imparavo e adesso insegno.
Chitarra, tennis, calcio e ghigno da comitiva. Barzellette sporche e freddure cattive. L'indirizzo di quella mora di scuola mia, senza avere internet e senza sapere cose: soltanto un pedinamento mal dissimulato, col giornale in mano, come un attore americano. Imparavo tutto e non dimenticavo niente, la memoria un hard-disk che non si piantava e non la piantava di ricordarmi chi ero.
Oratorio, preghiera e ginocchia brunite da graffi spessorati e consistenti come pezzi di cuoio. La prima di Guerre stellari e La febbre del sabato sera, a imbrogliare sugli anni un'esperta cassiera. Mettevo su musi da competizione, perché la vita era cattiva, la città matrigna e io una Biancaneve ancora senza mela.
Una volta sapevo a memoria i testi delle canzoni. Se non vincevo, ritentavo. Se non passava l'autobus, me la facevo a piedi. E imparavo sulle donne certe cose che poi mi son servite, da programmi di spogliarello e inquadrature ardite.
Una volta sapevo quello che avrei voluto fare da grande. Adesso lo faccio, ho squarciato il mistero. Nel mio villaggio è sempre domenica. E non ci sono nemmeno le partite.
venerdì 4 gennaio 2008
Unico, ripetibile amore
Come quando sporgi la testa fuori dal finestrino del treno.
Quel tipo di paura.
O la paura di non avercelo abbastanza grosso, che nei film porno le prendono da dietro e da un metro.
La paura di non essere adeguato, a livello di alito, per dire quelle frasi con quel tipo di sorriso.
Paura che non passi mai, o che passi troppo presto.
Giacomo si preparava a quel capodanno con addosso un repertorio di paure che Stephen King ci avrebbe fatto bella figura col suo editor e con la moglie Tabitha per molti anni a venire. Com'è come non è, la casa al mare dei suoi era rimasta vuota e lui era riuscito a portarci Sandra Costantini, che in classe era famosa per certe virtù che poco avevano a che fare con il gerundio e molto con una variante ben più frizzante dell'educazione fisica.
Sandra era in bagno a farsi bella.
Giacomo, invece, vagava per la casa con le mani dietro la schiena, come un pattinatore su ghiaccio in attesa del suo esercizio preliminare. Doveva sparare tutto: o dentro o fuori. Nessun ripescaggio.
Come quando ti sporgi da un balcone, di notte, guardando un cielo stellato.
Quel tipo di terrore.
Sandra, a vederla da vicino, non era bella come le ragazze di quei siti. Forse, a volerle abbastanza bene, potevi sovrapporla nella tua mente a una giovane casalinga amatoriale. Ma si era tolta il reggiseno e l'aveva lasciato fare. Giacomo scoprì che la cosa era abbastanza facile da maneggiare e che le dimensioni erano adeguate per un reciproco sollazzo.
La faccenda durò quanto doveva durare ma la cosa più interessante, alla fine, fu un'altra: che dopo un po' si poteva rifare.
Ostia era sempre una striscia di cemento tra i rifiuti e il mare, ma quei due ci davano dentro come se fosse l'ultima volta e non la prima. Ostia si fece Broadway, la notte si fece giorno.
Giacomo si fece Sandra, con addosso il consapevole dolore che era stato soltanto sesso, senza nemmeno una parvenza d'amore. E così che si diventa esperti di una materia complicata: cercando di mettere in colonna le donne della propria vita, partendo dalla prima per arrivare a quella che hai accanto in quel momento di fatui bilanci.
Come quando guardi un film e capisci subito il finale.
Quel tipo di paura.
Molto simile alla noia.
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