
Dopo due anni di assenza, i Pussycats Power escono con il loro terzo lavoro.
Si sono appena spenti (o forse no?) gli echi di Emirates for single shot, un disco epocale, un lavoro immenso e germinale che ha aperto le porte della percezione a una generazione di epigoni: chiedere ai Soul Mecha o al Pete Orango di Niet, please.
Due anni di assenza, dicevamo. Ma due anni spesi bene. Le chitarre di Salmadian Carter si sono risciacquate nell'Acheronte di un disco solista (Stars & Discipline) praticamente perfetto. Il basso di Emilio Munari ha cavalcato con i Mood for Jerusalem, testimonianza ne è il bel live tratto dalla tournée in Polonia e Ukraina. Il batterista-cantante dei Pussycat Power, Jerry-Lee Franza, ha suonato sotto le bombe e dentro le cantine di oscuri porti francesi, in cambio di un anonimato e di un set di pentole di rame di fine Ottocento. Ma mettiamo su il vinile e lasciamo partire questo Woman in mushroom sauce, che già dalla copertina promette cocktail lisergici e frammenti di rock da consegnare all'eternità. Geniale la foto: una donna nuda che si imbarazza di fronte allo spettacolo disturbante di una divisa insanguinata, ricoperta di funghi. Sullo sfondo, una foresta primeva.
Il primo pezzo è quello che dà il titolo all'album. Una marcetta decadente, cadenzata da una chitarra accordata in Re e da un basso profondo come un colpo di cannone in una chiesa. La batteria non dà tregua e salmodia il ritmo di un'autentica esecuzione. I brividi sulla schiena ci fanno capire che non siamo in paradiso, e che non ci finiremo mai.
Attacca la ballata semi-acustica On the tongue again e la neve si scioglie nei cuori e nei bicchieri. "Lei non c'è, perché non c'è mai stata. Al suo posto, tupperware pieni d'insalata" è la frase che voremmo aver scritto noi, poveri cronisti dell'altrui talento.
Poi tocca alla polka ruvida di Cent Sentinel, storia di un soldato (il padrone della divisa fungo-dotata?) che sceglie di uccidere un inoffensivo maiale per non essere costretto a sparare al suo nemico. Qui tornano gli arpeggi dissonanti del loro primo disco, Overminus in minor, che la critica salutò con aggettivi freddini e definizioni costrittive. Si parlò di buoni segnali e di seminalità dispersiva. Tutto qui, ci credete?
Il quarto pezzo è Storia della Musica, così, in italiano. E mai titolo fu più azzeccato. Del resto, Franza e Munari si sono incontrati al Dams e vanno ancora a pesca nelle valli di Comacchio. Storia della Musica, dicevamo. Chopin che incontra il Maleriancic di Post Prandium, con la voce di Franza che diventa un ponte tra l'uomo e il suo dopplegang taumaturgo.
Il quinto e ultimo brano - un po' breve la fatica dei Nostri, ma per una durata complessiva più che soddisfacente - è Morphine for no pain, ghirigoro sonoro baciato dalla grazia, con un a solo di chitarra che prende in prestito dinamiche da violoncello e l'agilità melliflua di un grande flauto traverso.
Concludendo. È un disco aperto, questo Woman in mushroom sauce. Come la vita. Come l'orizzonte. Ma si tratta di una vita malata, con le radici ben dentro il marcio di una palude decomposta. E l'orizzonte è un lusso che non ci possiamo permettere, almeno finché i nostri occhi saranno rivolti verso l'interno. Almeno finchè non smetteremo di sentire e non cominceremo, invece, ad ascoltare.
Pier Paolo Marcandreasi