
Addio, Babe. Addio, dolce ammaestratore di cravatte.
Quando ballavi, avevi il passo leggero degli obesi professionisti.
Io ti venivo dietro, facendo facce e simulando stramberie.
Ma sapevo che loro guardavano te, sperando che potessi cadere.
Tu eri quello grosso e goffo, io il segaligno poetico.
- Non moriremo mai - mi hai detto un giorno.
- Siamo già morti - ti ho risposto io.
E avevamo ragione tutti e due.
La discesa è un soffio di vento che legge il giornale del giorno prima, è un solitario sul letto d’ospedale. Comincia di notte, alla prima insonnia non cercata, con la prima donna pagata per fare cose che avevamo gratis quando eravamo Re.
Sopravviverti è doloroso quanto l’avvento del sonoro.
Ti ricordi di quando facevi il cattivo per via del peso? Cinque dollari a settimana e due dollari in più per ogni libbra che mettevi su. Cellulite per celluloide. Cellulosa verde per celibato a perdere. Abbiamo sposato il lavoro, amato donne sbagliate, ceduto l’anima per un tempo comico. Torte in faccia a te, amico mio.
Torte in faccia a te.
Ci hanno lanciato e mai ripreso, scordato e riesumato. Charlie aveva genio da vendere, Buster aveva il fisico da rompicollo, Harold aveva orologi a cui appendersi. Noi, invece, facevamo ridere. E basta. Incantavamo i bambini, concedevamo tempo agli adulti. Le ragazze sussultavano, culi di borotalco e sguardi setosi. Ai vecchi rimbalzavano ossa e denti, mentre le vesciche si mettevano a perdere come un cavallo drogato.
Guardo gli asini che volano nel ciel.
Ma tu non ci sei.
Odore di pioggia, fuori e dentro me.
Ma le papere sulle nuvole si divertono a fare i cigni nel ruscel.
Io non mi diverto più da un sacco di tempo.
Addio, Babe.
Addio, maledetto amico mio, debole di cuore e forte di punto vita.
Tuo Stan
Ah, un’ultima cosa...
Ticchete ticche ticchete ticche ticchete… sento che è guarito il cuor dall'estasi d'amor..
Guarito o guasto, non fa differenza.