Lei aveva scarpe da vecchia ed era vestita a caso, ma con tutta la premeditazione possibile. I suoi colori ne facevano un vessillo da contrada del palio di Siena, che Aceto sarebbe morto mille volte calpestato da tutti i cavalli del mondo per poter sfilare anche solo un guanto da quella manina deliziosa. Non cercava l’amore, la ragazza. Ma era costruita per attirarlo a sé, argano senza peso, capace di sollevare la casa di un gigante, con tutta la famiglia gigantesca seduta a tavola per il cenone di capodanno: nel menù, fagioli enormi, che altro? Ma la ragazza non aveva nessuna difesa, contro un sorriso di compiacimento. Peccato che lui non riuscisse nemmeno a sorriderle. Pigiati sulla metropolitana delle otto, con tracce di cuscino ancora sulla faccia, i due erano capitati più vicini di molti amanti, più a contatto di ballerini di tiburon, più intimi di amici di penna ai tempi del computer. Il ragazzo cercò nella memoria un’epifania più forte, un desiderio più grande e risalì con facilità fino al suo letto amniotico, fino a un sogno prenatale, fino alla caverna di Platone e ancora più indietro. Niente. Soltanto una nebbia indistinta, sollevatasi intorno al volto che un giorno avrebbe dovuto amare. Il volto di lei, sicuro. La guardò con insistenza, non poteva fare altrimenti. La ragazza vestita a caso, con miracoloso sincronismo, gli parlò. La parolina si fece giostra, la voce era il gettone, le orecchie di lui cavalluccio e macchinina.
- Scendi?
Un momento. Qui ci vuole prosa ossianica, dannunziana facilità di verso, leopardiana malinconia amorosa, ungarettiana sintesi del pensiero forte.
Poi, con la preparazione di uno studente di Lettere Moderne, fuori corso convinto, lui optò per John Keats e disse:
- L’amore è la mia religione. E potrei morire per esso.
A lei il sorriso nacque e morì in volo, come rondine che ha troppo volato. Lui si scusò e disse:
- Scendo, se scendi tu. Scendo, dovunque scendi tu. Scendo.
La fermata era Subaugusta. Non serviva a nessuno dei due. Perché l’amore è spesso un compromesso tra il sogno più ardito e la realtà più mediocre. E non è mai vantaggioso, a meno che tu non abbia studiato anche Montale:
- Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.
Sì. E Subaugusta può essere un posto meraviglioso, se devi riconoscerti meglio. La nebbia volò via quando un coatto del posto accese una Marlboro dura. Le scarpe di lei, in un momento, divennero vintage. E lui, da studente fuori corso, si battezzò scrittore. Entrambi, da quel momento, abbracciarono con ostinato ottimismo un futuro migliore.