martedì 26 aprile 2011
Le cose che so di te
Infarto, lo chiamano. Il secondo ti ha portato via. Il primo ha soltanto preoccupato una famiglia, messo a posto delle pendenze, riunito gli amici. Ma il secondo è stato un proiettile d’argento nel tuo cuore licantropo. Le cose che so di te sono molto poche. Buon calciatore, ottimo giocatore di scacchi, ti sei mantenuto col poker quando la fame non era un nome più breve affibbiato all’appetito. Avido lettore, hai fatto il liceo e ti sei iscritto all’università nei famosi tempi non sospetti. Eri del 1933, adesso avresti avuto 78 anni. Quando muore una persona di 78 anni, ci si dispiace un bel po’: giovane, si dice in coro. Tu sei morto a 44. Avevi un parrucchino, me lo ricordo bene, e occhiali dalla montatura spessa. Eri un uomo col borsello, fumavi le HB e io andavo a comprartele sfuse, che il tabaccaio le metteva dentro una bustina di carta e mi diceva che non dovevo prendere quel vizio. Andavamo insieme dal vini e oli a bere la spuma. E al tuo club, dove giocavo a ping-pong da solo, mentre tu facevi il drago col tresette. Una volta mi hai portato da una tua amica, che mi ha tenuto mentre tu svolgevi qualche commissione. Era una bella signora e si provò un vestito davanti a me, dicendomi di non guardare. Guardai. Una volta a settimana, andavamo a trovare i tuoi genitori, in una casa piena di zii, di cugini e di donne vestite di nero. Ricordo zia Sabetta, vecchia come il mondo, ma forse nemmeno troppo. Siccome aveva il Parkinson, le facevate tirare la sfoglia per la pasta: almeno, quel tremore serviva a qualcosa. Da ragazzo, leggevi di notte al lume di una candela quegli stessi libri che io ho cominciato a divorare a undici anni, quando te ne sei andato: i Maestri russi, Henry Miller, Sciascia, Calvino. Dentro a quelle meraviglie, cercavo scampoli di te. C’erano. Adesso lo so. E c’eri quando i padri dei miei amici mi portavano al cinema e allo stadio. Il cinema. Vedevamo due film per volta, uno scelto da me e uno da te. Ricordo un film con Bud Spencer e Terence Hill e subito dopo Il dottor Stranamore. Sono quelle giornate che ti cambiano la vita, perché capisci che la leggerezza abita nella città dell’intelligenza. Ricordo le giostre tristi, i circhi tristi, ma il tutto veniva riscattato dal tuo umorismo tagliente, che forse in parte ho ereditato. Ho le tue stesse mani. Ah, e il diabete. Ricordo una casetta nel bosco, che tu e mamma la volevate comprare. Ma vi mancò il coraggio. Ve ne serviva già troppo per fronteggiare la malattia che costringeva lei sulla sedia a rotelle e te a casa, ad accudirla. Perdonato. Ricordo bene quel 26 aprile del 1977. Erano le sette di mattina e io sentii dei rumori concitati. Tuo fratello ti stava facendo la respirazione bocca a bocca, mamma urlava. Io capii subito. Presi una sedia e la sbattei per terra, ma piano. Ero un bambino molto educato. Poi, quella stessa mattina, mi comprai un Devil Gigante. E tutto ebbe inizio…
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