giovedì 23 febbraio 2012
La scienza arranca
i ricercatori italiani espatriati hanno scoperto qual è il mistero dell'universo: il colore dei capelli delle donne. crini, non neutrini...
mercoledì 8 febbraio 2012
Il treno va...
Svegliarsi senza aver praticamente dormito. Riemergere come un sub incauto, senza compensare, incurante dell’embolo. E l’embolo, puntuale, arriva. Apro gli occhi, lo sferragliare del treno non mi culla, mi irrita, diventa distanza invece che viaggio. E mi irrita quella voce. Sta parlando con me, non c’è dubbio. Metto a fuoco. Nello scompartimento siamo solo noi due. Io, un rimastino di 38 anni, sperimentatore di droghe fin troppo conosciute. Lui, un doppiopetto impeccabile, con meno segni di me sulla faccia ma molta borghesia spalmata addosso, come una crema solare protezione 50.
- Lei stava russando.
Mi stropiccio gli occhi, spero sia tutto un incubo. Dopo un qualunque risveglio, anche se ho dormito soltanto cinque minuti, non posso reggere un rimprovero, né tollerare un dialogo.
- Mi capita, ogni tanto. Sì… - Rispondo.
Il cellulare del pupazzo in grigio mette un punto esclamativo laddove sarebbero bastati tre puntini di sospensione, di resa.
- Sì. Arrivo alle 12,59. Tutto bene, il viaggio. A parte la compagnia. Poi ti racconto. Ciao.
Cose che non si dicono, queste. Non sorride, non ammicca. Semplicemente, è infastidito da me e ci tiene a farmelo sapere in ogni modo possibile. Lascia perdere, mi dico. Ma mi conosco.
- Io non sono la tua compagnia. Sono solo uno cui hanno assegnato questo posto. Uno che ogni tanto russa.
- Lei ha anche un cattivo odore corporale. Dovrebbe migliorare la sua igiene. È importante.
E apre il Sole 24 ore, convinto che l’arbitro abbia fischiato la fine e che lui abbia portato a casa i tre punti.
Stocazzo.
- Tu puzzi di morto. Forse è il vestito. È importante, pensaci.
Abbassa il giornale e ha uno sguardo che ho visto sulla faccia di un mio amico, in comunità. Pericoloso, perché si erge ormai oltre la morale, oltre quel confine che divide il lecito dall’antisociale.
- Lei è un avanzo umano, appare evidente. Sospetto che non abbia un lavoro, che sprema la pensione dei suoi genitori e che non abbia una relazione stabile, né tantomeno degli amici.
C’è del vero, ma non sopporto i maghi.
- Tu invece hai una donna, ma non sai scopartela come si deve. Ti ha chiamato per sapere quanto tempo ha per metterti in testa un altro paio di corna.
Sorrido. E sbaglio. Ci vogliono più di trenta muscoli, per attrezzare un ghigno. E per tenere attivi trenta muscoli, devi pompare sangue e distrarre nervi, è così che funziona. Vedo il manichino sollevarsi di scatto, vedo le sue ore di palestra incanalarsi in un pugno, accompagnato da tutta la spalla. Il naso mi esplode, fa il rumore di una noce che si arrende alla stretta di una mano contadina. Dolore, paura e ancora dolore. Il sangue mi bagna la faccia ed entra nella bocca. Mi chino in avanti, perché conosco una mossa speciale. Dalla resa apparente, fiorisce una testata devastante. E adesso è il suo naso a spruzzare sangue sul vestito immacolato. Sono in piedi e gli tiro un calcio sotto lo sterno, che, dato con gli anfibi, non è affatto una mossa banale. Si piega in avanti e io gli parlo all’orecchio con la voce del caprone maschio, quello che ha le corna più grandi ma non per via dell’infedeltà della sua femmina:
- Dimenticami. Ricorda solo il dolore che ti ho inflitto. E non metterti in una guerra che non puoi vincere.
Mi sento un personaggio di Dumas padre, virato dalla cultura di Stallone.
Lui è devastato come un pollaio dopo il passaggio di una volpe. Non farà uova per un bel pezzo, mi sa. Prendo il Sole 24 ore e leggo:
Scende lo spread, c’è fiducia nei mercati.
Scendo pure io, guerriero di una notte infinita.
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